lunedì 7 dicembre 2009

Zone d'ombra

Ho ritrovato una lettera, ricevuta qualche anno fa, sotterrata da cumuli di vecchi scritti, carta e inchiostro, macerie di ambizioni letterarie.
Cercavo di mettere ordine in casa, che poi è un po' come mettere ordine nella propria vita, passando in rassegna file di libri e di dischi, incarti di documenti, tessere, vecchi taccuini traboccanti di parole. Mi sono seduto e il divano mi ha inghiottito, schiacciato dal peso di una busta colma di ricordi di piombo, scomodi, gravi, ingombranti. Questa lettera è molto dolorosa per me, riapre una vecchia ferita che ormai non sanguina più ma che punge e lacera sotto pelle. Sofferenza vera, reale, tangibile.
La scrive un fantasma perso in un passato che credevo più lontano. Racconta una storia di adolescenza, di amicizia, della sottile linea che divide la luce dal buio, di precipizi, di malattia. Una della tante, che senti spesso dalle nostre parti, in periferia. Storie ai margini, che non finiscono bene, di qualcuno che si perde e sparisce, nelle zone d’ombra della vita e di se stesso.
Racconti di strada, quante volte li abbiamo sentiti?
Quanti ne dovremmo ancora sentire?
Mi chiedo spesso per quale motivo questa storia abbia lasciato un solco tanto profondo e faccia ancora così male. Abbiamo visto un amico smarrirsi, lentamente ed inesorabilmente, senza potere fare nulla, incapaci di reagire, di opporci ad un vento che soffiava crudele verso il mare aperto. Credo che nel momento in cui mi sono reso conto di non poterci fare nulla, in quel preciso momento e solo allora, ho smesso di essere un bambino e ho capito che nella vita le cose succedono davvero, che nessuno è invincibile, che tutti possono cadere.
È stato come un secondo vagito, un pianto innocente e doloroso, un grido disarmato che fa male ancora adesso, seduto qui, con una lettera in mano.

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