martedì 11 maggio 2010

The Waves-Storie da un concerto immaginario


-->
Il rock è per i predestinati, non c'è spazio per gregari e mestieranti.
Puoi saper suonare la chitarra, avere una bella voce, puoi anche avere il look giusto, ma per sperare di restare, per avere il tuo posto nel firmamento devi brillare e allora bisogna dirlo: la luce di questi The Waves è abbagliante.
Rolling Stone
Questo è indie-rock, certo, ma lo sentite il grunge delle origini? E quelle immersioni nella malinconia brit? I The Waves suonano per tutti: adolescenti incazzati, fanciulle romantiche, uomini duri, donne in carriera, vecchi nostalgici.
E sembra quasi pop!
Quasi.
Mojo
I The Waves surfano le onde giuste: remano su ritmi travolgenti, si alzano in take off su muri di suono, cavalcano la cresta delle emozioni più profonde e alla fine della corsa si tuffano nell'oceano del successo.
Billboard
Questi cinque ragazzi di Monterey, California, sanno come fare musica.
Il 9 Settembre saranno a Torino.
Un consiglio spassionato: non perdeteli!
Rumore
Per noi suonare dal vivo è la cosa più importante. Il concerto è un momento magico.
Le nostre canzoni sono piccole storie, pezzi di vita e mi piace pensare che per ogni persona che le ascolta rappresentino qualcosa di diverso.
Questa è la magia del concerto: una raccolta di piccole storie.... un incrocio di vite.
Ethan Baker – The Waves

My personal Autumn
Lo sapeva, Lisa, era sicura che avrebbero cominciato con quella canzone, se lo sentiva.
My personal Autumn, il secondo singolo dell'ultimo album, la sua canzone preferita, con quelle chitarre aperte e cadenzate, la voce struggente, piena di tensione, nostalgica e arrabbiata. Era stato tutto perfetto, fin dall'inizio, un mese prima, quando la città era vuota per le vacanze ed il sole sembrava sciogliere l'asfalto delle strade. “The Waves in concerto – 9 Settembre 2006”, diceva l'annuncio sul giornale. Due giorni prima dell'inizio della scuola, pensarono. Sarebbe bello. E poi la sorpresa. I biglietti fatti trovare tra le pagine di un libro e lei che correva da Daniele e lo abbracciava. “I miei non ci sono”, gli aveva detto, “potresti dormire da me, dopo il concerto”. Lui aveva sorriso, con la speranza negli occhi e lei aveva capito. Quella sera era passato a prenderla: la corsa in moto, il vento sulla faccia e poi i The Waves, che suonavano la sua canzone preferita. Non poteva chiedere di più, mentre cantavano insieme al resto del pubblico. Era la sera giusta...non era solo il suo cuore a dirglielo, erano i The Waves, era l'intero locale, ognuno in quella folla la stava spingendo verso di lui e lei voleva lasciarsi trasportare. Lo avrebbe seguito, come una curva in moto, assecondando i suoi movimenti, accelerando e frenando, senza fermarsi mai. Avrebbero vissuto quel concerto, cantato, ballato e sudato. Poi sarebbero andati a casa e lì avrebbero suonato la loro canzone.
High School Revolution
Edoardo non aveva voglia di andare a casa subito dopo il lavoro. Anzi, non aveva nessuna voglia di andare a casa. Mai più...in quell'inferno. Suo fratello minore, Marco, era morto in un incidente d'auto due mesi prima. Aveva solo 17 anni. Da quel giorno solo dolore, silenzi, tormento. Neanche una lacrima però, non per lui, che si era preso sulle spalle il peso dell'intera famiglia. Quella sera aveva girato in macchina a lungo, sembrava senza meta, anche se in fondo sapeva dove andare, era come se avesse un impegno, un appuntamento. C'era il concerto dei The Waves, il gruppo preferito di suo fratello. Aveva comprato un biglietto da un bagarino, era entrato e si era messo in disparte. Si sentiva strano, con il completo blu e la cravatta, in mezzo a quella folla. Poi quella canzone e mille ricordi. Suo fratello la sparava sempre a tutto volume, cantava, gridava , viveva i suoi anni. Il titolo finiva in ...Revolution ed era un pezzo tirato, allegro, potente. Edoardo guardò il palco, chiuse gli occhi, pensò a Marco, a quando gli gridava di spegnere lo stereo, alle liti, alle risate e poi capì perché si trovava in quel posto. Si fece spazio tra la gente, fino alla bancarella delle magliette. Trovò quella che aveva anche Pietro, quella con l'onda sulla schiena e la comprò. Tolse la giacca, la camicia e la cravatta, mise la maglietta e si buttò in mezzo al pubblico, fin sotto il palco. Finalmente, dopo un'eternità, scoppiò a piangere e ritornò a vivere.
Ocean roads
Il sole ancora rosso, sulla linea dell'orizzonte; una lunga strada sinuosa a picco sulle scogliere; il blu dell'oceano a contrasto con il bianco delle spiagge; le onde che si frangono sul point break e i surfisti che aspettano il momento giusto, seduti sulla loro tavola. Nicola sognava, faceva sogni bellissimi, perché gli piaceva, lo facevano stare meglio. E perché era l'unica cosa che poteva fare, in una cella di tre metri per due. Lo avevano arrestato per rapina a mano armata. Gli avevano dato due anni e sei mesi...e se li era fatti tutti. Mancava l'aria, mancava la luce, era come essere morti, solo che faceva male. Sua sorella gli aveva portato un lettore CD e alcuni album nuovi, ma Nicola ascoltava sempre lo stesso, quello dei The Waves, e quella canzone, Ocean roads. Sapeva di mare, d'estate, di ragazze abbronzate, di crema solare e birra fresca, di auto scoperte e falò in spiaggia. Aveva il gusto di tutto quello che stava fuori, che non era carcere, che non era tristezza. Passava notti intere, steso sulla branda, a sognare l'oceano, laggiù, oltre cemento e chiavistelli, lontano da ronde e divise, al riparo da tossici e maniaci. Era uscito da due settimane, Nicola, non aveva un lavoro, dormiva da sua sorella, ma era vivo e libero, era sopravvissuto al carcere, era pronto a ricominciare. E ce l'aveva fatta grazie ai sogni, grazie alla voglia di rincorrerli. Quando sua sorella gli aveva regalato il biglietto per il concerto non era sicuro di volerci andare. Aveva paura...aveva ancora paura di tutto. Poi però aveva deciso che ci sarebbe andato, era una cosa che doveva fare, aveva un pegno da pagare. Doveva ringraziare quei ragazzi, che con una canzone, gli avevano salvato la vita.
The perfect soundtrack
Cosa ci faceva lì? Cosa diavolo le era preso? Nel pomeriggio aveva visto i biglietti in vendita e senza neanche pensarci, ne aveva preso uno. Un gesto d'istinto. Una cosa rara per lei. Poi era passata da casa, aveva cenato, si era cambiata ed era andata fino lì. Mossa da qualcosa, certo, ma non sapeva da cosa e perché. Si trovava in mezzo a mille sconosciuti, così diversi da lei. Sembravano marziani. E pensare che quel gruppo non lo conosceva neanche, non aveva un disco, non sapeva neppure che faccia avessero. L'ultimo album che aveva comprato era quello dei Blue...altro che chitarre e California. A lei piaceva Celine Dion! Poi però suonarono quella canzone e tutto cambiò. Capì cosa stava cercando: un ricordo. Quel viaggio di due anni prima, con Angela e Sara, in macchina fino a Barcellona e poi ancora giù, lungo la costa, con quella canzone a riempire ogni momento. La sentivi in radio, nei locali, ovunque. Non era mai andata fuori città, mai così lontana, così oltre le proprie possibilità. Aveva conosciuto un ragazzo, Didier, uno studente di Lione. Una notte, in un bar sulla spiaggia, lui l'aveva presa in disparte, le aveva passato un braccio intorno alla schiena e l'aveva baciata. Dalle casse del locale uscivano le note dei The Waves. Si era sentita viva ed era stato fantastico. Era finito, è vero, ma il ricordo e quella canzone sarebbero rimasti.
Slow motion
E alla fine eccola! Marta aveva fatto finta di niente, impassibile, come se non facesse nessuna differenza, ma in realtà la stava aspettando, non desiderava altro. Era la loro canzone! O forse lo era stata, un tempo, quando c'era ancora un “loro”, quando la musica aveva un senso, quando tutto esisteva in funzione del loro rapporto. Il suono del pianoforte era malinconia pura, incontaminata, così assoluta da diventare piacevole. La voce del cantante scivolava come l'acqua di un torrente. Era poesia, erano parole che parlavano...quella storia rivista a rallentatore, Slow motion, una storia triste, intensa. La ascoltavano sempre: quando facevano l'amore, quando lei cucinava e lui sistemava la spesa, quando tornavano da una serata di festa, quando erano ubriachi e quando non sapevano cosa dirsi. Poi, di colpo, non l'avevano più ascoltata, non c'era nessuna canzone che potesse unirli. Lui non c'era più. Lei non sapeva chi fosse. Loro non erano più capaci di stare insieme. “Questa sera suonano i The Waves”, le avevano detto, “perché non vieni?”. “Perché suoneranno quella canzone e lui potrebbe essere lì”, avrebbe voluto rispondere, ma era rimasta in silenzio e aveva seguito il flusso naturale delle cose, come sempre. Aveva mille motivi per non andarci, ma uno solo per farlo e quello era bastato. Si era detta che l'avrebbe incontrato e che quando avessero suonato quella canzone sarebbe successo qualcosa. Avrebbero unito i loro sguardi e sarebbe tornato tutto come prima. Ne era sicura. Tutto sarebbe andato a rallentatore, Slow motion, il pubblico, la band...tutta la città. Avrebbero rivisto tutto, trovato gli errori, i problemi e il modo di risolverli. Poi avrebbero sorriso e la storia non sarebbe più stata triste. Mai più.
We gonna Rock this fuckin' town
Se non fosse stato per Cisco, il grande Cisco, ci sarebbe il morto in quel cesso del cazzo. Affogato nell'acqua della tazza. Bella fine, degna della sua fama. Una vera morte rock! Ma Cisco l'aveva visto barcollare verso i bagni e l'aveva seguito, il buon Cisco, perché aveva capito tutto. Non era difficile, comunque, immaginare come sarebbe andata a finire. Avevano iniziato a bere nel primo pomeriggio, ai giardini, poi una canna sull'altra, aspettando il concerto. “Sei fuori, vedi di mollare un po' se no finisce che ti ribalti”, gli aveva detto Cisco, il saggio Cisco. Lui però non aveva smesso, anzi, aveva pensato bene di attaccare la fame chimica con un bel panozzo preso alla bancarella degli “unti e dannati”. Poi il delirio. Stava in mezzo al pogo, saltava, ballava e cantava, fino a quando tutto quanto aveva iniziato a oscillare. Dopo c'era stato solo Cisco, il provvidenziale Cisco, che gli tirava su la testa e lo ficcava sotto il rubinetto. Quando aveva ripreso conoscenza era fuori, nel parcheggio e dall'interno sentiva venire un suono indistinto. “I The Waves”, aveva pensato, “cazzo ci faccio qui”. Si era ributtato nella mischia di forza, appena in tempo. Stavano suonando We gonna Rock this fuckin' town, grinta e potenza. Si era buttato sotto il palco perché sapeva che quando suonavano quel pezzo, verso la fine, quando c'è il coro, tutto gridato, urlato, facevano salire qualcuno del pubblico a cantarlo con loro e poi gli facevano fare il salto. Era destino...lo sapeva lui e lo sapevano loro. Il cantante aveva fatto segno verso di lui, aveva passato le transenne ed era diventato uno dei The Waves. Aveva fatto anche il salto, ma quello che era successo dopo non se lo ricordava più.
The last song
Era la festa di fine estate di tre anni prima. Un concerto sulla spiaggia di Monterey, California, home sweet home. Al tempo facevano quasi solo cover e qualche pezzo originale, scritto da Ethan. Stavano lavorando al primo album e non avevano la minima idea di cosa sarebbero stati gli anni a venire: il primo singolo, il tour promozionale, il successo, prima in America e poi in Europa, la vita che cambia, la scoperta del mondo. Alla fine del concerto, come tradizione, avevano acceso un fuoco e si erano seduti intorno ad aspettare l'alba. Era un modo per salutare l'estate, darle appuntamento all'anno successivo...una dichiarazione d'amore. Avevano tre chitarre acustiche, un'armonica a bocca e le congas. Suonavano. Prima un arpeggio, qualche armonia, poi un melodia che prendeva forma, che sfiorava l'oceano, che toccava la sabbia, cambiava colore con il cielo, trovava la sua dimensione. Le parole venivano naturali, raccontavano il momento, il passato, i sogni, le speranze. We sing to celebrate - Life, love and freedom. Quella notte c'era un ragazzo straniero, uno scrittore. “Questa è perfezione, potrebbe anche essere la vostra ultima canzone”, aveva detto. Così l'avevano chiamata, The last song e si erano fatti una promessa: ogni volta che avessero suonato, in qualsiasi concerto, avrebbero chiuso con quel pezzo. Negli anni, con il successo, l'amore del pubblico, la fedeltà, la sintonia, era nata la magia. Loro si sedevano sul palco, in cerchio, prendevano le chitarre, l'armonica e cantavano The last song. Il pubblico si sedeva per terra, tutti, e cantava con loro. Come a Torino, quella sera...come sempre. Ethan amava quella canzone, amava la musica, era la sua passione, il suo lavoro, il suo modo d'essere. Ethan era il cantante dei The Waves: un gruppo, una famiglia, il suo destino.
POST SCRIPTUM:
I The Waves non esistono
POST POST SCRIPTUM:
Se esistessero ti piacerebbero