giovedì 22 novembre 2012

Io sbatto


Una piccola chiesa medievale, arroccata sulla cima di una collina. Dal sagrato si vedono le montagne e un’ansa del lago. Diluvia. La cappella è stipata di invitati. Anche quelli che in una giornata di sole sarebbero fuori a fumare con una scusa qualsiasi, si stringono in chiesa per proteggere l’abito elegante. Si sposano due amici e ci siamo anche noi, in una nicchia vicino al coro. Siamo in attesa, abbiamo un compito. Quando il prete annuncia lo scambio degli anelli ci muoviamo, è il nostro momento. Porto mia figlia all’inizio della navata centrale. Lei si avvia, a piccoli passi, con il cuscino delle fedi tra le mani. Tutti gli occhi sono per lei, mentre consegna gli anelli agli sposi. Si volta e torna indietro di corsa, verso di me. La prendo in braccio e mi alzo in piedi, tra l’orgoglio per la mia piccola e l’imbarazzo per l’attenzione generale. Mi volto, mi avvio e succede di nuovo. Sbatto una terribile ginocchiata contro l’ultimo banco della chiesa. Resto in piedi per miracolo e soffoco in gola un bestemmione che avrebbe annullato il matrimonio per almeno vent’anni e portato all’immediata scomunica di tutti i cattolici presenti. Non sento risate ma ci sono, arrivano come sparate con il silenziatore. Infine, biascicando qualche parola intraducibile, sulle labbra un sorriso altrettanto indecifrabile, torno al mio posto.
Questa è solo una scena, per la verità piuttosto divertente, ma come questa, magari meno clamorose, ce ne sono infinite altre.
Questa è la mia normalità. Io sbatto. Sempre e da sempre. Sbatto con i piedi, gli stinchi, le ginocchia, le anche, i gomiti e le spalle. Sbatto di notte, al buio, nella consuetudine della mia casa. Sbatto in pieno giorno, alla luce del sole, in luoghi sconosciuti. Sbatto contro sedie, gradini, tavoli, stipiti e infissi, scrivanie, divani, portiere delle auto, oggetti abbandonati e in movimento. Sbatto in ogni modo possibile. Io sbatto.
Non esistendo specialisti in questa strana patologia, negli anni, ho cercato di darmi delle spiegazioni e credo che le cause siano riconducibili a tre tipologie di problema: strutturale, satellitare ed esistenziale.
Ho le gambe storte, da cowboy, i piedi lunghi e l’andatura dondolante. Per quanto mi impegni a tenere sotto controllo i movimenti, questa struttura fisica mi porta in dote un’inevitabile predisposizione ad uscire dalle traiettorie. La conseguenza, ovviamente, è sbattere.
Bisogna poi tenere conto che, di solito, dove non arriva il corpo dovrebbero subentrare i sensi, quelli innati, non tangibili, quelli animali. In questo caso devo constatare di avere qualche serio problema di posizionamento geografico e di mappatura ambientale. Insomma, qualcosa non funziona a livello satellitare perché le stanze sembrano di colpo rimpicciolirsi, gli angoli allungarsi, gli oggetti spostarsi, rispetto a quello che il mio cervello registra al momento del movimento.
E anche in questo caso, l’ovvia conseguenza è sbattere.
A lungo ho riflettuto, guardandomi dentro e indietro, scandagliando con meticolosa attenzione ogni centimetro del mio essere e sono convinto di avere infine compreso una cosa importante. La mia propensione a sbattere è esistenziale. Non si tratta solo di colpire un comodino con il ginocchio o di urtare la spalla contro l’anta dell’armadio, ma della fatale impossibilità di scansare quello che la vita dissemina lungo il suo percorso. Le sorprese e gli errori, le sfortune, i regali,  le delusioni e le speranze, i dolori, le responsabilità, le delusioni e le opportunità. Gli incontri imprevisti, le persone, quelle buone, generose, cattive, speciali, quelle che restano e quelle che spariscono. Ogni curva, ogni salita, ogni incrocio. Contro ogni muro, ogni maledetto spigolo, io ci sbatto.
Può sembrare semplice distrazione, forse, ma non lo è. Questo è il mio modo di vivere e di essere. Io sbatto e mi sta bene così.