lunedì 18 gennaio 2010

Malibu Surf Shack

16 ottobre 2009

Il sole è ormai alto sopra l'oceano quando parcheggio la Mustang di fronte al Malibu Inn. Entriamo a comprare una Coca ghiacciata e andiamo a berla sul molo, guardando verso sud, verso il Messico.
Stiamo risalendo la costa, sulla Pacific Coast Highway, fino a San Francisco.
Questa mattina ci siamo svegliati presto e abbiamo lasciato l'Hacienda Hotel di El Segundo alle prime luci del giorno. Le strade di Los Angeles erano già un groviglio di sole, lamiera, gas di scarico e stazioni radio in spagnolo.
A Venice Beach i primi surfisti davano la cera alle tavole e osservavano l'oceano, la spinta del vento, il ritmo delle onde. In lontananza il molo di Santa Monica, tutto intorno sabbia bianca, palme, California. Abbiamo mangiato la nostra colazione sulla spiaggia, guardando i pellicani tuffarsi tra le onde, poi siamo saltati in macchina e siamo partiti verso nord.
La giornata è meravigliosa, limpida e profumata. La tenue nebbia del mattino si è dissolta e adesso il sole di Malibu è caldo, bollente. Arriviamo da New York, dove l'autunno non era così gentile e i jeans che indosso si fanno sempre più insopportabili. Vorrei cambiarmi, vorrei un paio di pantaloncini, ma sono sotterrati in valigia. Impresa impossibile.
Ci guardiamo intorno, in cerca di una soluzione.
Malibu Surf Shack dice l'insegna appena oltre la curva, nel disegno sotto la scritta una capanna sulla spiaggia. Dal parcheggio vediamo uscire un pick up con tre tavole nel cassone e decido che quello è il posto perfetto per comprare gli shorts di cui ho bisogno. Saliamo una scala di legno esterna che porta al negozio, poi ci fermiamo sul terrazzo di ingresso. La vista è mozzaffiato: le insenature della costa, i colori dell'oceano, l'orizzonte.
All'interno è fresco, ordinato e divertente. Il proprietario ci saluta, ai suoi piedi un cane bianco dorme girato sulla schiena. In sottofondo musica che non conosco e che mi fermo ad ascoltare.
Il surfshop è bello, verrebbe voglia di comprare tutto, ma alla fine mi accontento di una maglietta con il logo del negozio. I pantaloncini li prenderò da un'altra parte.
Andiamo a pagare e il ragazzo ci chiede di dove siamo.
"Torino. Italia" rispondo.
Forse dovrei dire "Beinasco. Piemonte", ma temo di non fare bella figura.
Lui ci guarda, estasiato, si illumina, inizia a magnificare di quanto sia bella l'Italia, del cibo, la storia, di Roma, il Colosseo.
Poi, con aria sognante, ci fissa, noi creature della periferia torinese e sospira: "beati voi!".
Ora io guardo lui: abbronzato, muscoloso, infradito, vende tavole da surf a Malibu.
E penso: "amico, cosa fumate da queste parti?".
"Sul serio, roba forte, eh!"
Beati voi?
Beati voi???
Vorrei spiegargli che Torino Sud non è proprio un posto in cui si respira la storia e che il Colosseo è un po' fuori mano. Mi scapperebbe anche un "cazzo dici", ma poi penso a dove lavoro, a quanto è bella Torino quando nevica e che in fondo mi piace dove vivo. In fondo, ma mi piace.
Strano il mondo, mi dico. Strano gioco delle parti.
Firmo la ricevuta della carta di credito, stringo la mano al ragazzo e rimando i pensieri a più tardi.
Dobbiamo rimetterci per strada. La California ci aspetta e voglio essere a Santa Barbara prima del tramonto.



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