giovedì 14 gennaio 2010

Killing in the name


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Mai preso una testata?
Un pugno in faccia?
Uno schiaffone a mano aperta?
Io sì (almeno uno per tipo, a dire il vero) e se anche tu ne hai avuto la fortuna, allora sai quali sono i risultati. Non parlo del dolore, quello arriva in un secondo momento, ma della miscela instabile di reazioni chimiche che ti invade immediatamente dopo. Le gambe tremano, il cervello rimbalza tra le pareti del cranio, gli occhi sfuocano, il cuore pompa e lo stomaco si attorciglia. Poi, in disordine: stordimento, rabbia, una leggera vergogna, sdegno, rabbia, istinto di reazione, rabbia, rabbia, rabbia!
Questa è la sensazione che provo ogni volta che ascolto il primo, fottutissimo, disco dei Rage Against The Machine.
Posso romperti il culo, stanne certo! Aggiungi che, se solo me lo chiedessero, sarei pronto anche alla guerriglia e alla lotta armata e avrai un quadro abbastanza completo.
Quello con il bonzo che brucia è uno dei dischi più innovativi degli ultimi vent’anni.
Una detonazione di potenza, ritmo, tecnica, groove, denuncia. Ti fa saltare, gridare, sudare.
La chitarra di Tom Morello è geniale e letale, la sezione ritmica devastante e il rap di Zach De La Rocha asciutto e graffiante, un bel calcio nelle palle a tutti quei rapponi ingioiellati di Mtv.
Per dirla in termini tecnici, insomma: i Rage spaccano, raga!
Fuck you, I won't do what you tell me!
Fuck you, I won't do what you tell me!
Fuck you, I won't do what you tell me!
Fuck you, I won't do what you tell me!
Motherfucker!
Uggh!



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