giovedì 7 gennaio 2010

Elogio del retrovisore

Di tutti i pezzi che compongono l’auto quello che preferisco è, in assoluto, lo specchieto retrovisore. In tutte le sue declinazioni: interno, esterno destro e sinistro. Non è una questione di estetica, è ovvio, anche con tutto il design di questo mondo uno specchietto resta sempre uno specchietto, plastica e vetro. No, quello che fa la differenza è la sua versatilità, l’adattabilità, la polivalenza.
Prendi il contachilometri, a cosa serve? A contare i chilometri.
E il freno? A frenare, al massimo a rallentare. Il volante serve a girare. La marmitta a fare uscire i gas di scarico. Semplice.
Lo specchietto retrovisore, invece, è tante cose, contemporaneamente. È complesso, profondo, poetico.
Dovessi anche solo limitarti ad un’interpretazione superficiale potresti dire che la sua funzione principale è “guardare indietro senza voltarsi”. Sembra banale, è vero, ma pensaci bene, è quasi magia: “guardare indietro senza voltarsi”. Miracoloso.
Posso superare il camion che ho davanti? Posso uscire dall’autostrada o qualche stronzo mi sta sorpassando a destra? Solo il retrovisore può rispondere a queste domande. Esistesse il libretto di istruzione delle auto, lo specchietto avrebbe diritto al capitolo centrale e alla foto di copertina, non c’è storia.
A decretare la sua superiorità rispetto agli altri pezzi basterebbe questo, ma lasciami aggiungere qualche elemento. Dove appendi i pupazzetti? Gli alberelli profumati, i crocifissi o l’auricolare? Io, per anni, ci ho tenuto appeso Ken Shiro!
Non so te, ma quando vado ai matrimoni i fiocchi li lego agli specchietti, non al paraurti o al carburatore. Si, forse anche all’antenna o al tergicristalli, ma sugli specchietti stanno meglio.
A volte poi, nei momenti peggiori, quando magari sei fermo in coda, il retrovisore si trasforma in uno schermo su cui scorrono le mille storie di chi ti segue: sguardi tristi, volti distratti, discussioni animate e solitudini varie. Sono film di vita, che puoi scrivere e riscrivere ogni volta che vuoi, proiettati solo per te. Una volta, a Los Angeles, in coda su La Cienega, ho visto il tipo che guidava il pick up che mi seguiva, un nero grosso come una montagna, che rappava in free-style su qualche base che sparava dall’autoradio. Spettacolare.
Immagina adesso di guidare lungo una soleggiata strada costiera o attraverso una vallata desertica e pianeggiante, tra le fitte trame di un bosco innevato o per i crinali di una dolce collina verde e rigogliosa. Davanti a te meravigliosi paesaggi, che poi scorrono rapidi ai tuoi fianchi, mentre procedi nel tuo viaggio.
Come un ricordo rovesciato, come una forma di memoria immediata e ribaltata, lo specchietto retrovisore ti permette di rivedere quello che hai appena visto da un’altra prospettiva, dall’altro lato. Lo stesso mondo, ma dall’altra parte.
Questa è la magia del retrovisore che amo di più: il fascino del ribaltamento, l’occasione del ricordo, l’urgenza della memoria.

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